Il sogno di Oscar



Oscar possedeva un cane di nome Cuno, che gli era stato regalato dal nonno quando aveva sei anni. Oscar e Cuno erano inseparabili ed andavano spesso a trovare il nonno, anche quando egli se ne andò nell’oltretomba. Oscar aveva dieci anni e Cuno quattro e del nonno non era rimasto che un albero di melo, una piuma di pavone e sette maialini di terracotta.
Ogni giorno Oscar portava una mela sulla tomba del nonno e gli raccontava le vicende famigliari, come se fosse stato ancora vivo, ed ogni notte la mela spariva.
Oscar sperava di poterlo rivedere, per questo ogni giorno tornava alla sua tomba per donargli la mela, ma il nonno non appariva mai di fronte ai suoi occhi.
Arrivò la notte del Samonios ed Oscar si recò al fiume con la sua famiglia e, come di consuetudine, accesero una candela a testa e le lasciarono andare nell’acqua sopra a piccole barchette. Le luci delle loro fiammelle si unirono a quelle delle candele accese da altre famiglie, che si erano anche loro recate su quelle sponde per salutare i propri defunti.
Oscar aveva diversi parenti da ricordare, ma ciò che più gli dava dolore era la scomparsa del nonno, ancora troppo recente per dimenticarsene. La ferita nel suo cuore era grande ed altro il bambino non desiderava che poterlo rivedere almeno per un’ultima volta, per accertarsi che stesse bene e per dirgli quanto era addolorato per la sua dipartita. Mentre gli alberi mormoravano e scricchiolavano nel venticello notturno, le candeline vacillavano tra i flutti, finchè gli spruzzi non le spegnevano, una ad una, lasciando che la loro luce raggiungesse l’altro mondo, guidando le anime dei defunti, che quella notte erano andati dalle loro famiglie, lungo la strada del ritorno.
Oscar si guardava attorno continuamente, cercando di scorgere la figura di suo nonno ogni volta che notava un’ombra muoversi tra gli alberi oppure sentiva qualche rumore attorno a lui, ma così non fu. Ritornò a casa con la sua famiglia e con Cuno, che li aveva accompagnati. Prima di andare a dormire, mise sulla finestra i sette maialini di terracotta, ognuno affiancato ad una mela. Era un ultimo saluto a suo nonno. Si infilò nel letto e Cuno si accucciò ai suoi piedi. La piuma di pavone era su una mensola sopra al capezzale del letto e vegliava sempre sul sonno del bambino.
Oscar e Cuno chiusero gli occhi e presero sonno.

Oscar non era più a casa sua, ma in un luogo che non aveva mai visto.In quel posto non vi era né il giorno né la notte, non sembravano esistere vegetali o animali, ma non era neanche un deserto. Non c’erano né il caldo né il freddo e neppure si poteva identificare l’esistenza del cielo.
Si sentì un po’ impaurito, per fortuna accanto a lui scodinzolava Cuno ed attorno i due avevano sette maiali che parevano far loro da guardia. Improvvisamente Oscar si sentì chiamare dalla voce di suo nonno, che gli diceva di raggiungerlo, mentre davanti a lui comparvero sette porte identiche. Ognuno dei maiali si mise davanti ad un uscio ed attese, grugnendo, che Oscar decidesse quale soglia varcare, ma lui non sapeva scegliere, così si affidò a Cuno, pregandolo di condurlo dal nonno. Cuno si mise ad annusare qua è là in cerca di qualche odore, ma in quel mondo gli odori non esistevano. Uggiolando, guardò il bambino, impotente. Fu allora che i maiali grugnirono tutti insieme e dissero “Lo troverai solo se cercherai la sua presenza”.
Lui non aveva idea di cosa volessero dire, così chiese loro spiegazioni, ma ottenne in risposta le stesse parole. Provò ad insistere, però i maiali ripetevano sempre la loro frase.
Disperato, si mise a chiamare il nonno a gran voce, ma non ci furono risposte alle sue urla.
Soltanto quando riprese la calma si mise a ragionare e così si mise di fronte alla prima porta e cercò di udire qualcosa, ma soltanto il silenzio e la sensazione di vuoto lo assalì. Fece lo stesso con le altre porte, finchè non arrivò alla settima e sentì lo scorrere dell’acqua ed il cinguettio degli uccelli. Udì anche i passi di qualcuno che camminava con un bastone e si sedeva con un sospiro soddisfatto. Si ricordò di quando il nonno lo portava per i boschi, passeggiando con l’aiuto di un bastone, e di come sospirava quando si sedeva a riposare. Convinto che fosse proprio lui al di là della porta, Oscar aprì l’uscio e si trovò in uno splendido giardino pieno di alberi con frutti rossi e maturi, fiori ovunque tra l’erbetta tenera ed una infinità di uccellini colorati. Proprio a due passi da lui, vi era una fontana di marmo bianco tutto scolpito e lavorato e sul bordo di essa sedeva il nonno, ringiovanito e con un bastone da passeggio in mano. Finalmente Oscar potè riabbracciarlo e pianse dalla commozione, raccontandogli quanto fosse stato in pena per lui e quanto aveva desiderato che tornasse a casa. Anche Cuno era contento e fece le feste all’anziano.
“Io ormai ho una nuova vita, dimoro in un mondo dove c’è armonia e pace, tuttavia giungono sempre alle miei orecchie i tuoi discorsi, le preghiere e le offerte che mi fai mi sono sempre molto gradite. Sono dunque tornato a casa, per incontrarti, ma né tu né gli altri nostri parenti eravate in grado di vedermi o udirmi, così sono ritornato in questa mia nuova dimora nella speranza che tu riuscissi a trovarmi nei tuoi sogni”.
Mentre il nonno ed il nipote si parlavano e si chiarivano, i sette maiali si gettarono in un grande fuoco e si arrostirono. La gente che passeggiava in quel giardino, si radunò attorno al falò nell’attesa di poterli mangiare.
Oscar e Cuno vennero accompagnati dal loro parente attraverso al giardino, giungendo in un punto panoramico da cui si scorgevano lidi incantati e castelli di cristallo. Scesero in un paesino con casette e strade fatte di pietre preziose. C’era un pozzo parlante al centro della piazza e gente sempre vestita riccamente. Il nonno lo portò nella sua abitazione e gli mostrò dei paioli incantati, che erano sempre pieni di cibo oppure di bevande. Il bambino raccontò che a casa sua c’era un periodo di magra e non si aveva sempre cibo per tutti. Il nonno, impietosito, prese un paiolo di pietra rossa e glielo offrì “Questo è Ruad Sorcha (benedizione rossa) e cucina il cibo per i buoni ed i giusti. Te lo regalo, se prometti di averne sempre cura e di non lasciare mai che cada nelle mani dei disonesti e degli approfittatori”.
Oscar, onorato, prese il paiolo, che poteva contenere al massimo un maialino da latte, affidandolo alle fauci di Cuno, perché glielo portasse e lo difendesse.
Tornarono tutti e tre nel giardino e videro che i sette maiali erano ormai ben cotti e la gente si stava servendo di un pezzo ciascuno. Al bambino venne offerto un boccone di essi, ma il nonno lo fermò in tempo “Se mangerai anche solo una briciola di questo, sarai costretto a rimanere qui per sempre”. “Non mi dispiacerebbe rimanere, si sta bene qui” replicò lui.
“Ci tornerai a tempo debito, ma ora hanno bisogno di te e di Cuno a casa, altrimenti non ti avrei mai affidato Ruad Sorcha”.
Sotto il consiglio del parente, anche se a malincuore, il bambino estrasse dalla tasca la piuma di pavone, che misteriosamente era comparsa nelle sue braghe, quindi la agitò e nel cielo comparve un arcobaleno. Oscar saltò in groppa a Cuno e lo cavalcò sul magico arco, tornando così verso il suo mondo, verso la sua casa.

Si risvegliò: era nel letto ed era mattina, le mele erano scomparse ed i maiali di terracotta giacevano su un fianco. Attorno al suo capezzale, c’era la sua famiglia, preoccupata, perché aveva dormito per sette giorni e sette notti, senza mai svegliarsi.
Il bambino raccontò loro la sua avventura e li rassicurò che stava bene, ma nessuno gli credeva e tutti lo assecondavano, perchè lo ritenevano malato e delirante. A salvare la situazione, ci pensò Cuno, che si intrufolò sotto al letto e ne uscì con Ruan Sorcha tra le zanne, dimostrando che Oscar aveva ragione.
Grazie a quel paiolo, la sua famiglia ritrovò il benessere e lo condivise con la gente del suo paese.




 

 

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