Sofia



C’era una volta una bambina che si chiamava Sofia. La sua famiglia era benestante e lei aveva esaudito ogni desiderio ogni volta che chiedeva che gli fosse comprato qualche cosa. Possedeva una montagna di giocattoli, molti dei quali non si ricordava neanche di averli, tra i capelli bruni aveva sempre qualche fermaglio nuovo e nel cortile di casa sua c’erano tre cani, quattro gatti, un cavallino e delle paperelle che lei aveva tanto voluto, ma che dopo aveva abbandonato a loro stesse, costringendo così la domestica di casa a dover prendersi cura anche di loro.
Sofia, nonostante tutte le cose che possedeva, si annoiava. Con i balocchi si intratteneva per un po’ e poi li buttava via desiderandone altri, sbuffando perché nessuno di questi la divertiva. I suoi fermagli li lasciava in giro per casa o li perdeva quando usciva a passeggiare, non curandosi neanche di non possederli più, perché le bastava chiederne di nuovi che subito glieli compravano. Un giorno, i suoi genitori la obbligarono ad andare a fare una passeggiata con i suoi cani e così Sofia prese tre guinzagli per legare le bestiole e portarle su per la collina, dalla cima della quale si vedeva la sua città. Mente i cani giocavano tra loro, lei si sedette su una roccia e, mentre riposava, sentì un pianto provenire da sotto un abete che aveva i rami così bassi che toccavano per terra. La bambina incuriosita sia avvicinò all’albero e, sotto i rami pieni di aghi, vide un esserino brillante che piangeva disperato.
“Ciao” salutò Sofia, “Perché piangi?”
L’esserino si tolse le mani dal volto e da sotto i rami la guardò. Era piccolo e brillava come i raggi di luna, sulla schiena portava ali di farfalla ed il viso era bellissimo e dolce: era una fata! “Sto piangendo per te!” disse la fata.
“Per me?” la bambina si stupì “Perché?”
“Piango per te perché non apprezzi le cose che hai e ne vuoi sempre di nuove. Sei avida e non ti importa che per costruire i tuoi giocattoli sono state usate molte piante, per fare i gioielli sono state scavate miniere che hanno perforato il cuore delle montagne e non ti curi dei tuoi animali che ti vogliono bene!”, la fata la guardò arrabbiata uscendo da sotto l’abete, ergendosi per tutti e dieci i suoi centimetri di altezza.
Sofia si sentì ferita da quelle parole e rispose “Ma io mi annoio!” guardando la fata con risentimento, ma l’esserino le disse ancora “Ti annoi perché non ti accorgi quanto valore hanno le cose, anche due semplici sassi possono essere tuoi lieti compagni di gioco!” ed incrociando le piccole braccia le scoccò un’occhiata da sotto in su “Hai mai provato a prenderti cura di qualcosa?” “No” rispose Sofia sapendo bene di trascurare tutto quanto la circondi.
“La Natura è molto arrabbiata con te, piccola umana!” la avvertì la fatina “Ma c’è un modo per farti perdonare” ella estrasse del suo corpicino un seme rilucente a forma di ghianda “Pianta in un vaso questo seme e fallo crescere bagnandolo e curandolo con amore. Tra un mese esatto, se dal tuo vaso non sarà nata alcuna piantina verde e sana, subirai una terribile punizione!”
Detto questo, la fata scomparve nel nulla e Sofia, spaventata dalla punizione che la attendeva, si mise il seme in tasca per non perderlo e, richiamati i cani, tornò a casa a per piantarlo. Per qualche giorno bagnò regolarmente la terra aspettando che spuntasse la piantina, ma nulla sorgeva dal terreno del vaso e presto si stufò, lasciandolo a sé stesso e pensando di nuovo ad avere nuovi giochi con cui trastullarsi.
Una notte, mentre riposava nel suo lettino, in sogno le riapparve la fatina e le disse “Sono passate due settimane e altre due ne scorreranno, spero che tu stia curando la piantina. Ricorda, se non lo farai verrai come punizione sarai tu stessa trasformata in una pianta!”
Il giorno dopo, Sofia si alzò di buon ora e subito andò a vedere se nel suo vaso la piantina era spuntata, ma la terra secca e arida non sembrava contenere vita al suo interno. Prese di nuovo a bagnarla, giorno dopo giorno, spaventata all’idea di essere trasformata in una pianta e non poter più vedere i suoi genitori e giocare con i suoi balocchi. La piantina non accennava a spuntare e ormai mancava solo un giorno. Piangendo, Sofia scese nel cortile dai suoi animali, diede loro del cibo e li accarezzò per l’ultima volta, poi tornò nella sua stanzetta e mise a posto tutti i giocattoli, infine pulì e lucidò i suoi preziosi fermagli che ripose nelle scatoline e, quando scese la notte, andò a dormire godendosi il suo lettuccio per l'ultima volta.
Passò una notte agitata, tutta impaurita di diventare una pianta, ma quando la mattina dopo si svegliò, un raggio di sole accarezzò le sue guance rosee e gli uccellini cantarono in coro fuori dalla finestra. Stupita di essere ancora una bambina, Sofia corse verso il vaso e con grande gioia vide che un tenero germoglio era spuntato, piccolo e verde chiaro.
La bambina si innamorò subito della piantina, trovandola bellissima, la disegnò su un quaderno che conservò per sempre, mentre la pianta cresceva sempre più.
Da quel giorno la bambina capì l’importanza di curarsi delle cose che si posseggono e dell’affetto di chi si è circondati, non trascurò più i suoi animali né la sua piantina, i giocattoli che non usava più li regalò ai bambini meno fortunati di lei ed i suoi fermagli li trattò con maggiore cura.




 

 

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